La recente risoluzione 72/E72016 dell’Agenzia delle Entrate affronta in maniera significativa, ancorché da una singolare prospettiva, la tematica della rilevanza fiscale delle criptovalute ed in particolare, dei bitcoin. È proprio dalle considerazioni svolte dall’Amministrazione finanziaria che si può procedere con l’esame molto generale del fenomeno delle criptovalute ed a quello specifico dell’onda lunga che condiziona l’ordinamento tributario.

1. Definizione

Una prima definizione di criptovalute si può trarre direttamente dal web, e più precisamente viene intesa come “valuta paritaria basata su un algoritmo, decentralizzata e digitale la cui implementazione è basata sui principi della crittografia per convalidare le transazioni e la generazione di moneta in sé”.

Quindi, la criptovaluta nasce come una moneta fisiologicamente digitale, ma il fatto che sia generata grazie ad un protocollo crittografico la caratterizza come virtuale, perché non vi è riferimento riscontrabile nella realtà fisica.

Questa è la differenza con ciò che accade quando si utilizza ad esempio un carta di pagamento che rappresenta la digitalizzazione della provvista presente su di un conto corrente fisico, materialmente verificabile presso la filiale della propria banca.

L’unità di conto più famosa e diffusa, basata su questa tecnologia è il c.d. Bitcoin, ideato verso la fine degli anni 2000 dal fantomatico Satoshi Nakamoto che così pensava: “Una versione puramente peer-to peer di denaro elettronico permetterebbe di effettuare pagamenti online direttamente da un soggetto ad un altro, senza passare da un istituto finanziario”.

Da questa affermazione alla prima transazione in bitcoin il passo è stato breve, perché il 3 gennaio 2009 venne registrato il c.d. “blocco zero” relativo ad uno scambio di 50 bitcoin.

Per evitare eccessivi “fuori pista” informatici, si sintetizzerà lo schema di generazione, di approvvigionamento e di scambio della criptovaluta in esame.

Nella pratica tutto parte da un’applicazione, il c.d. “e-wallet”, disponibile per tutti i tipi di dispositivi, tramite la quale dare l’input per la transazione tra due soggetti, esempio classico: l’acquirente ed il venditore (c.d. nodi).

Ogni ammontare di bitcoin (c.d. gettone elettronico), è crittografato in modo che venga rappresentato con il c.d. “valore di hash”, un’impronta digitale che racconta tutta la storia dei bitcoin oggetto di transazione. A questo punto i dati così generati vengono “pubblicati” contemporaneamente a tutti i nodi che costituiscono la rete, in tempo reale. Alcuni di questi nodi sono specializzati nell’attività di validazione delle transazioni.

Sono i c.d. miners (minatori) che si occupano di verificare le transazioni pubblicate e validare solo quelle la cui sequenza è coerente con i timestamp (marche temporali) dei blocchi precedenti.

Una volta eseguita la validazione il miner formerà il blocco di dati successivo della catena (blockchain), relativo a quella determinata transazione.

I minatori svolgono tale attività verso il corrispettivo degli eventuali bitcoin che il protocollo di funzionamento della criptovaluta genererà in maniera casuale. e che loro saranno capaci di “minare” ricavandoli direttamente dal network che supporta la criptovaluta.

Una volta costruito il blocco, la transazione è completa ed il trasferimento della valuta garantito. Tutto accade alla elevata velocità computazionale dei server dedicati all’attività di mining che costituiscono i nodi del network bitcoin.


Articolo completo pubblicato sulla rivista Il Tributo #25.2016, liberamente scaricabile a questo indirizzo.